Condividi il bello!

Tutte le volte che vuoi

La straordi-storia di Francesco Volpe

“Possiamo fingere con gli altri,
ma quando siamo soli con noi stessi
non possiamo mentire.
Ognuno fa il suo percorso,
ma il primo passo
è sempre la consapevolezza.”

– Francesco Volpe

Le storie che [rac]contano ospitano Francesco Volpe.
Ci siamo conosciuti nel migliore dei modi: cantando! Nel coro gospel che abbiamo frequentato insieme è nata la nostra amicizia. Eravamo tanti, ma ci siamo scelti. E poi scelti ancora. Fino a diventare quello che oggi siamo: amici.

Grazie Fra per aver raccolto il mio invito.

Raccontaci pure chi sei…

Sono Francesco, sono nato a Roma il 21 aprile (Natale di Roma).
Nella vita ho fatto tante cose, ho sempre rincorso sogni e ispirazioni e cerco di esprimermi nel mio lavoro. Sono parrucchiere e truccatore (oggi fa figo dire hairstylist e make-up artist) ma non mi sono mai limitato al phon e spazzola: le mura di un negozio mi sono sempre state un po’ strette, quindi ho sempre alimentato la mia passione per il bello attraverso la fotografia, la curiosità, lo studio, la ricerca e la voglia di conoscere a 360°.

Hai a disposizione altri 180 caratteri per descriverti ulteriormente…

Spazi e punteggiatura compresi?

“Sono una persona sensoriale…”

Mi piace immergermi nelle emozioni, andare in profondità, in ogni circostanza cerco sempre di vedere e sentire oltre i miei limiti perché credo ci sia sempre qualcosa in più da scoprire. Per le stesse ragioni sono molto passionale in ogni ambito.

Se dovessi scegliere una foto e una metafora che ti rappresenti e ti descriva, quale sarebbe?

foximage

Nella mia vita ho imparato che la felicità è più bella se condivisa.”

Alla ricerca della felicità: cosa ti fa pensare questa frase?

Ad un viaggio. Un viaggio lungo, tortuoso, impegnativo. Un cammino che inizia nel momento in cui nasci: si cerca la felicità tra le braccia della mamma, poi nelle piccole grandi conquiste della vita e soprattutto nell’amore. La felicità è un percorso di cui non si conosce la fine ma la riconosci quando ci arrivi.

Può esistere felicità senza libertà?

L’unica risposta è no, non esiste felicità senza libertà. Qualunque sia il limite imposto, dagli altri ma spesso anche da noi stessi, è un grande passo indietro verso la felicità.

Pregiudizio, accettazione, tolleranza: che cosa rappresentano per te?

Il pregiudizio è figlio dell’ignoranza e credo che sia il male peggiore, il preludio alla cattiveria e all’ingiustizia. L’accettazione è un processo necessario per ogni individuo, accettare sé stessi ed essere accettato dagli altri è un fattore importante. La tolleranza è una conseguenza della civiltà.

Prova a definire il concetto di normalità.

La normalità è una convenzione sociale, ma non può avere un valore universale: la normalità è una regola relativa, ognuno ha la propria. In un certo senso “normale” è una parola che discrimina chi non ne fa parte. Non è totalmente inclusiva, ma sottende l’appartenenza ad un gruppo, seppur ampio, di cui qualcuno inevitabilmente non fa parte.

Tu lavori nel campo della bellezza in cui spesso si parla di “icone e modelli”: che significato dai a queste parole? E tu, ne hai alcune?

Ci sono modelli e icone di stile e poi ci sono modelli e icone di vita. A volte combaciano, altre volte appartengono a una sola categoria. Le mie icone sono quelle donne che hanno la bellezza dentro gli occhi: mi viene da pensare alle nostre Monica Vitti, Sophia Loren che sono lontane anni luce dalle bellezze di oggi. La bellezza è quella raccontata dall’anima. Poi di bellezze oggettive, quelle che corrispondono a canoni estetici riconosciuti universalmente ce ne sono a migliaia.

Cosa ti affascina nell’altro?

Il cuore, l’attitudine nei confronti della vita, il modo in cui sorride, i difetti che lo rendono unico. Un mix di tutte queste caratteristiche. Se è vero che il primo colpo d’occhio ha la sua importanza, è maggiormente vero che quello che c’è oltre l’apparenza conta molto di più. Mi piacciono le persone che affrontano la vita col sorriso, mi piacciono gli sguardi pieni di entusiasmo, i piccoli gesti, i dettagli, la naturalezza delle parole.

Oggi si parla tanto di coming out: credi sia davvero necessario?

Ci sono correnti di pensiero opposte. C’è chi sostiene che in un mondo civile non sarebbe necessario perché in realtà l’orientamento sessuale non dovrebbe essere rilevante se si guarda alle qualità della persona. Purtroppo però non viviamo in un mondo civile e quindi mi viene da dire che sì, è importante fare coming out, perché ogni volta che omettiamo il nostro orientamento sessuale, la nostra identità sessuale, stiamo nascondendo una parte di noi, stiamo dando una versione limitata di noi.

Ti sei mai sentito solo mentre “ti cercavi”?

Spesso. Ti senti come in una stanza buia, con una torcia in mano ma senza batterie dentro, cosa te ne fai? Arriva il momento in cui ti accorgi di avere le batterie in tasca e allora tutto inizia ad apparire più chiaro. Ci vuole un po’, ognuno ha i suoi tempi ma alla fine la luce arriva per tutti e una volta trovata la porta, la apri e il mondo che già conoscevi ti appare da subito diverso.

Hai due nipotine piccole: ci racconti come hai presentato loro il tuo compagno e il percorso che insieme come famiglia avete intrapreso?

Le due pesti stanno avanti anni luce. I bambini capiscono e non si fanno problemi a fare domande dirette. Mi sono regalato il mio coming out per il mio 36º compleanno (e sì, ci ho messo un po’), mi frequentavo da un paio di mesi con Rudy e avendo organizzato una cena a casa di mamma ovviamente volevo che lui ci fosse. Un paio di giorni prima sul divano insieme a mamma mi sono aperto, è stato emozionante, lei mi teneva la mano, volevo trovare le parole perfette, la frase giusta, alla fine gliel’ho detto nel modo più naturale al mondo… quanto mi sono sentito bene dopo!!! Ero più leggero e felice perché finalmente potevo fare partecipe la mia famiglia di ogni aspetto della mia vita. A mia sorella l’ho detto al telefono la sera stessa della cena mentre ero in macchina per questioni di tempo, alcuni amici, tra cui tu, ne erano già a conoscenza, da lì in avanti è stato tutto più facile, tutto più bello. Ah, le mie nipotine all’inizio erano gelosissime, ora lo adorano ed è il loro compagno di giochi preferito. Adoro vederli giocare tutti insieme.

Quale è stata la prima persona a cui hai confidato la tua omosessualità? Come mai l’hai scelta? Qual è stata la reazione?

Il primo amico col quale mi sono confidato è stato Vincenzo. Era una serata particolare, coincideva il giorno di San Valentino con la fine del carnevale, mi ha proposto una serata (gay-friendly) in maschera in un locale. Durante la serata ho conosciuto un ragazzo che mi seguiva in ogni angolo del locale, io ero terrorizzato che qualcuno potesse vedermi con lui, ero nervoso e non mi stavo godendo la serata fino a quando lui mi ha baciato e da lì mi sono detto che in fondo non stavo commentando un reato. Uscito dal locale ho fatto una lunga chiacchierata con il mio amico Vincenzo, parlarne con lui è stata la cosa migliore che potesse capitarmi, in quel momento lui era il mio porto sicuro ed io una nave in balia delle onde che aveva bisogno di ormeggiare. Ah, quel tipo non l’ho più rivisto.

Che cosa è l’amore per Francesco?

L’amore è completarsi. È affrontare la vita insieme. L’amore è perdermi negli occhi del mio compagno, è l’abbraccio dopo una discussione, è un bacio dato all’improvviso. L’amore è prendersi per mano e dirsi “ehi, sono qua”. L’amore è guardarsi e ridere, è vivere la quotidianità (se sono troppo melenso fermatemi).

Cosa può essere utile per eliminare i pregiudizi e rendere meno difficoltoso vivere la propria sessualità per chi non è etero?

Il pregiudizio è ovunque, anche all’interno della stessa comunità LGBT+. Il mio consiglio è di essere sempre se stessi, lo so sembra banale, ma è alla base di tutto. Vivere serenamente la propria identità sessuale non è facile per tutti, ci sono ragazzi che vengono cacciati di casa, chi viene bullizzato, a scuola, chi addirittura arriva a commettere atti estremi.

Le tecnologie oggi possono essere un aiuto per chi non riesce ad aprirsi col mondo esterno circa la propria sessualità?

Ovviamente sì, ma la vita reale è un’altra. Dovrebbero avere tutti un amico, una persona di famiglia, perché no, un insegnante col quale aprirsi. I social hanno un impatto molto forte nella società ma i rapporti umani e le relazioni si intrecciano per strada, davanti ad un caffè, sulla panchina di un parco.

Viviamo in una società che spesso ci preconfeziona la vita. Nasciamo con lo scopo di vivere pienamente i momenti, di poterci godere quello che accade, spesso qualcuno ha dei piani per noi, ma poi… accade qualcosa che scombina le carte in tavola. Ti è successo?

Le mie carte in tavola si scombinano spesso, come quando vuoi fare una partita a scala 40 con gli amici in spiaggia e all’improvviso una ventata fa volare le carte: ecco proprio così. Ho cambiato piani molte volte più per sfidare me stesso che per altro. La monotonia, la comfort zone non fanno per me. Poi sbaglio, però ogni errore fa esperienza. La vita poi ci mette lo zampino e allora l’unica cosa che puoi fare è organizzare la ripartenza.

Esistono infiniti aforismi, raccomandazioni, teorie, corsi sulla felicità, ma poi, ogni giorno, possiamo constatare come le persone siano infelici e insoddisfatte. Secondo te sono errati i concetti o sono le persone che non li mettono in pratica?

Viviamo in un mondo di aspettative altissime, a volte tanto alte da essere, oggettivamente, irraggiungibili. La felicità è in quello che ti fa stare bene. Svegliarmi per preparare il caffè al mio amore mi rende felice perché in quel momento sto facendo qualcosa che mi fa stare bene. Se camminiamo e mi prende la mano sono felicissimo (sai che all’inizio non voleva?). Insomma la felicità può essere un ottimo lavoro, la casa dei sogni, la vacanza alle Maldive o prendersi per mano per strada senza paure né vergogne. Non importa quale sia la tua felicità, ma credo che non esistano corsi dove si impari a trovarla.

Qual era il tuo sogno da bambino?

Alle elementari convinsi due amici a “fondare” un’associazione ecologista, scrissi su un foglio a quadretti un rudimentale statuto e disegnavo personalmente i volantini da distribuire… uno a uno, un lavoro interminabile, ero convinto che un quartiere “verde” fosse un luogo migliore.

Se dovessi dare un consiglio ad un adolescente o adulto che sia, che non ha ben chiaro il suo orientamento sessuale, cosa consiglieresti?

Possiamo fingere con gli altri, ma quando siamo soli con noi stessi non possiamo mentire. Ognuno fa il suo percorso, ma il primo passo è sempre la consapevolezza. Il mio consiglio è ascoltare sé stessi, partendo dal presupposto che non c’è nessuna regola scritta sul come, quando e perché. Ognuno ha le proprie risposte, ma è importante aprirsi con qualcuno, senza avere paura di essere giudicati, a volte le nostre paure superano la realtà dei fatti, si vive meglio senza pesi sul cuore.

Se questa intervista fosse letta da qualcuno in particolare, chi sceglieresti come interlocutore per condividere questi tuoi pensieri? E qual è il messaggio che desideri condividere?

Senza ombra di dubbio mio padre. Ho un solo rammarico: non aver mai parlato apertamente con lui. Molte volte sono stato sul punto di farlo ma pensavo sempre che non fosse il momento giusto, il giorno giusto, l’ora giusta fin quando la sua malattia l’ha portato via e con lui anche la possibilità di parlargli a cuore aperto. Sono sicuro che in fondo avrebbe solo desiderato la mia felicità, ci penso molto spesso. Il messaggio è semplice, chi ci ama continuerà a farlo senza restrizioni.

Ti va di consigliare qualche lettura sui temi che abbiamo affrontato?

Per capire meglio il fenomeno omofobia basta leggere i quotidiani: in ogni parte del mondo, anche qui nel nostro paese ci sono atti discriminatori e violenze nei confronti del “diverso”. Invece per una lettura utile a tutti, consiglierei il libro “volevo solo essere felice” di Alessandro Cozzolino, per concludere consiglierei una lettura più impegnativa, “elementi di critica omosessuale” di Mario Mieli.

Ci suggerisci una canzone che bisogna assolutamente ascoltare?

Gino e l’alfetta di Daniele Silvestri: era la canzone del Roma Pride 2007, e proprio nel giorno del gay pride io passavo di corsa per Piazza della Repubblica diretto da una cliente trascinando il mio trolley pieno di attrezzi di lavoro, lacca e spazzole. Parla della “confusione” interiore ed io ero esattamente in quel periodo. Ricordo il caldo, i carri pronti a partire, Gino e l’alfetta a tutto volume dalle casse, la voglia di lasciare il mio trolley del lavoro ed unirmi a tutta quella gente. 

C’è una canzone di Vasco che dice “voglio trovare un senso a questa vita, anche se questa vita un senso non ce l’ha…”: qual è il tuo senso della vita, Francesco?

Il senso della vita è trovare il bello ogni giorno. È sentirsi dire dalla persona che ami che insieme si supera tutto. E che gli ostacoli fanno parte del cammino. Il senso della vita è fare piccoli progetti insieme e adoperarsi per trasformarli in realtà. 

Sei felice, Francesco?

Se parliamo d’amore sono felicissimo! Ho accanto l’uomo per me e lo amo con tutti i suoi mille difetti e mille e uno pregi. Sono felice se lui è accanto a me. Per tutto il resto ne possiamo riparlare in un’altra intervista. 

Grazie Francesco, grazie di questo dono. Grazie della tua amicizia.

Chiudo questa intervista nello stesso modo in cui ti ho privatamente chiesto di scrivere per “Le Umane Risorse”, perché credo che queste parole esprimano al meglio il mio sentire: “e no, non ti chiederò da quanto lo sai. E non racconterò questa storia perché
dell’omosessualità si debba parlarne per ‘far cultura’. Racconterò di te… e del tuo cammino verso la felicità affinché chi ti legge possa comprendere il reale ‘sentire’
di chi inizialmente ha scelto di reprimersi e poi… ha spiccato il volo.”


Condividi il bello!