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Il ragazzo che credeva ai sogni

La straordi-storia di Francesco Ventrella


“Non riuscivo più a sopportare
il silenzio che aleggiava intorno alle difficoltà.
Il silenzio uccide le speranze,

al pari dell’ignoranza,
mentre le urla creano i sogni,

generano grinta e passione,
muovono le montagne

e fanno da eco per chi vive
nel mutismo e nell’oppressione…”

Francesco Ventrella


Le storie che [rac]contano ospitano Francesco Ventrella, giovane avvocato barese, fotografo, giornalista pubblicista.
Sognatore impavido e coraggioso, schiavo del bello e profondamente innamorato della sua terra e delle sue origini, con la salsedine nelle vene e il maestrale nei polmoni. 

Ciao Francesco, grazie per aver accolto il mio invito. 
Sono molto felice di poter inaugurare insieme a te il mio progetto “LUR_Le Umane Risorse – Storie che [rac]contano”.

Sono fermamente convinta che il tuo messaggio sull’impegno sociale sia assolutamente da divulgare: per me, questa è davvero una straordi-storia, fatta di tanti ingredienti: operosità, impegno, concretezza, entusiasmo, volontà.

Ma chi è Francesco Ventrella? Lascio a te l’opportunità di presentarti.

Sono un giovane avvocato, fotografo, giornalista pubblicista, ma soprattutto una persona, che un bel giorno ha deciso di mettere a disposizione degli altri le proprie competenze, le proprie idee, la propria determinazione, ma soprattutto i propri sogni. Mi appassiona tutto ciò che rapisce i miei sensi, ma ancor di più ciò che desta il mio animo. Adoro osservare le Persone, con la consapevolezza che ogni sguardo che incrocio possa regalarmi un’emozione nuova e degna di essere vissuta. Mi definisco un paladino della legalità, sarà la deformazione professionale, ma non riesco a tollerare le ingiustizie, credo che in fondo siamo tutti uguali, ognuno ha qualcosa di unico da regalare al mondo. Credo fermamente nel merito e nel sacrosanto diritto di ognuno di noi di esprimere tutto il proprio potenziale.

Se dovessi scegliere una foto e una metafora che ti rappresenti e ti descriva, quale sarebbe?

“Ho imparato a disegnare i miei orizzonti
sulle pareti di questa mia prigione”

Cosa ti ha spinto a “sporcarti le mani” in ambito sociale?

Mi sono avvicinato al sociale perché non riuscivo più a sopportare il silenzio che aleggiava intorno alle difficoltà. Il silenzio uccide le speranze, al pari dell’ignoranza, mentre le urla creano i sogni, generano grinta e passione, muovono le montagne e fanno da eco per chi vive nel mutismo e nell’oppressione. Il silenzio non è solo quella triste sensazione di “non udire”, ma è un’autocondanna, è il prestare il fianco a chi strumentalizza le difficoltà, illude gli individui e ne ammazza i sogni. Non ho la presunzione di essere in grado di aiutare tutti, ne tantomeno credo che il sociale si limiti a quelle situazioni drammatiche, a volte basta una parola di incitamento, il semplice coinvolgere qualcuno in un qualcosa, regalare un sogno, la consapevolezza di poter dire “IO POSSO”.

È vero che la maggior parte dei giovani oggi non si interessa di politica e di sociale?

Purtroppo è vero. Nella mia esperienza sia con il Comitato di Quartiere Torre a Mare, sia da solo, ho potuto constatare come le nuove generazioni siano assopite, soffrano di una tremenda forma di narcolessia, che di fatto li allontana dal bene comune. Procedono per inerzia, vivono alla giornata, si disinteressano della politica, intesa alla greca “scienza e tecnica, come teoria e prassi, che ha per oggetto la costituzione, l’organizzazione, l’amministrazione dello stato e la direzione della vita pubblica”. Eppure tra loro ci sono veri e propri fenomeni, che mancano di consapevolezza, che preferiscono voltare lo sguardo altrove piuttosto che agire d’impeto, mossi da quel profondo sentimento di appartenenza. Mio malgrado devo constatare la loro scarsa attitudine ad un confronto, ma soprattutto ad un impegno serio.

L’impegno sociale può avere un colore?

Sì, rosso. Perché è il colore della passione, che anima il mio impegno. Senza passione non è possibile credere a ciò che si fa, senza passione arrendersi è fin troppo facile, senza passione non si muove neanche un sassolino.

Di fronte alle resistenze del mondo, al disinteresse, alla burocrazia, cosa ti spinge a non demordere?

Non mi sono mai piaciute le cose semplici, eppure a volte in testa mi balena la frase del tipo: “ma lascia stare, fxxxxxx tutto!”. Ma è un baleno che attraversa un istante, perché mi basta ricordare il sorriso di quel ragazzo o la gratitudine di quella o quell’altra famiglia a farmi tornare più determinato di prima. A volte rimango basito da quanto possa essere complicato aiutare gli altri: devi scontrarti con fiumi di regolamenti, requisiti, burocrazia…eppure chi da anni opera nel terzo settore continua a farlo. Evidentemente si può fare!

Mi dici tre cose che NON cambieresti dell’attuale modo di far politica sociale oggi?

I requisiti di partecipazione / Destinatari delle misure / Condivisione

E tre cose che invece cambieresti assolutamente?

Criteri di distribuzione delle risorse / Contrasti di competenze tra stato e regione e tra regione e comuni / Controlli e verifiche, molto più penetranti nei confronti di chi opera nel settore e di chi beneficia della misura.

Credi che oggi si possa accettare di essere ‘spettatori indifferenti’ del mondo che cambia o si può concretamente concorrere al cambiamento?

Essere spettatori è il punto di partenza, ma guai a farsi dominare dall’indifferenza. Possiamo osservare il cambiamento, ma dobbiamo esserne noi artefici. Il tempo di occupare le tribune è terminato, dobbiamo essere protagonisti sul campo, ogni giorno possiamo contribuire al cambiamento, con la consapevolezza che il percorso è lento e molto complesso: non dobbiamo aspettarci risultati nel breve periodo, ma coltivare ambizioni e speranze nel lungo periodo.

Mi racconti allora di quello che concretamente fai?

Concretamente non faccio nulla di trascendentale, anzi mi limito a dedicare del tempo agli altri, al mio quartiere, alla mia città. Dedicare del tempo significa ascoltare, osservare, comprendere… e per far ciò bisogna essere capaci di compiere quel gesto per molti impossibile, ovvero donare il proprio tempo, forse la cosa più importante che abbiamo. Non occorre indossare un costume con una “S” sul petto per aiutare gli altri, basta imparare a dedicare qualcosa agli altri un sorriso una frase uno sguardo, una carezza. In concreto con il Comitato Spontaneo di Quartiere mi dedico agli interessi della mia comunità, sensibilizzandoli sul significato di appartenenza, cercando nel mio piccolo di rendere le loro difficoltà burocratiche più snelle: mi interfaccio con l’amministrazione per segnalare inconvenienti e disagi, collaboro con le altre associazioni e, con la Pro Loco, organizziamo corsi fotografici e rassegne culturali, invitando professionisti come testimoni. Cerco ogni giorno di essere un esempio per i più giovani.

Se questa intervista fosse letta da chi ha un potere decisionale all’interno delle amministrazioni, quale vorresti fosse il tuo messaggio?

Ripartire dal basso, dalla strada, ricominciare ad ascoltare la gente, perché la politica non si fa nelle aule consiliari o nelle commissioni, ma per strada tra la gente, mettendoci la faccia, osservando e agendo. Chi governa non deve dimenticare che rappresenta la gente e che soprattutto gode della fiducia di chi quella strada la vive ogni giorno con milioni di difficoltà. Per governare una città, o una nazione, servono Persone lungimiranti e dotate di ottima capacità uditiva: molte volte, infatti, è lo stesso cittadino che ha già la soluzione a questa o quella problematica… eppure dinamiche di potere ci conducono a mala gestione e denari buttati.

Di cosa hai bisogno perché un tuo sogno si trasformi in progetto?

Maggiore partecipazione e fiducia della gente: ormai la diffidenza negli altri, nella politica e nelle istituzioni ci conduce alla deriva emotiva. Crederci sempre, credere nella legalità, nel merito, nel rispetto e soprattutto nella buona fede altrui.

Daresti un consiglio ai giovani tuoi coetanei?

Uscite dalle masse, liberate i vostri pensieri e le vostre idee, imparate ad essere un punto interrogativo tra tanti punti esclamativi, non smettete mai di chiedervi perché. Affrontate le circostanze e le occasioni con istinto e determinazione, abbiate la consapevolezza delle vostre potenzialità, pretendete pari opportunità, lottate per il giusto, lottate perché nessuno resti indietro, abbiate l’umiltà di riconoscere il merito altrui, collocatevi nel sistema ma non  siatene mai vittime: e se questo non funziona, non abbassate lo sguardo.

C’è una frase bellissima che dice “senza la base, scordatevi le altezze”. Quali sono i quattro pilastri (la base) su cui fondi la tua vita (le altezze)?

Gli affetti, la cultura, l’onestà e il rispetto.

Oggi molto è filtrato dai social media. Che uso ne fai? E che spazio trova il contatto reale con l’altro?

Uso i social abbastanza, in quanto in alcuni casi rappresentano un valido strumento per diffondere un pensiero in maniera rapida e capillare: a volte sono davvero utili ma altrettante volte rappresentano dei rischi, poiché un messaggio o un esempio malsano, si diffondono molto più velocemente attraverso la condivisione dei dati. I social non hanno abbattuto le barriere; ne hanno create di più forti e vaste. Oggi il reale si allontana, ci sfugge, perché fallacemente immagazziniamo informazioni, concetti status, atteggiamenti, figli di una degenerazione sociale, che inevitabilmente ci sta conducendo ad una aporia di valori senza precedenti. La realtà spesso è quella che ci viene propinata.

Chi sono i tuoi modelli di vita? C’è qualcuno a cui ti ispiri, da cui hai imparato qualcosa?

Ho avuto la fortuna di avere molti esempi nella mia vita, e dovrò citarli necessariamente.
Lo zio di mia madre, un vero “mediano” vecchio stampo, contraddistinto da determinazione e coraggio.
La mia mamma ed il mio papà, capaci di saper mescolare affetto e rigidità e che mi hanno fornito gli strumenti per raggiungere i miei sogni.
La mia ragazza Doriana, da cui ho imparato la forza della determinazione, colei che mi ha fatto comprendere il senso della frase “se lo fa lui/lei posso farlo anch’io”, colei che ogni giorno alza l’asticella dell’obiettivo, che non ha traguardi ma solo sfide: questo perché l’arrivo e la fine di qualcosa, tende a farci sentire appagati e rilassati, mentre abbiamo bisogno di essere tenaci, grintosi e performanti sempre.

Consiglieresti una canzone e una lettura che credi ti abbiano aiutato nel tuo percorso di vita?

Come canzone “Destra Sinistra” di Giorgio Gaber, perché inneggia alle differenze a quegli stereotipi che inevitabilmente inquadrano le Persone anche se alla fine, ciò che ci connota è l’ideologia e quello in cui crediamo.
Come lettura “Il Piccolo Principe” di Antoine de Saint-Exupéry, perché nella vita, almeno una volta siamo stati la Volpe.

Se dovessi salutarci con una frase “made by Francesco Ventrella” e lasciare un messaggio a chi ti legge?

“Eterno allievo, secondo a nessuno”.
Imparate a conoscere, saziatevi di informazioni e curiosità, ascoltate, emulate, approfondite, non limitatevi a quello che osservate, affondate le mani in ciò che vedete e sentite, coltivate le vostre passioni, non vergognatevi mai di ciò che siete, vestitevi di voi stessi, ascoltate la vostra anima, affannatevi e poi dissetatevi di emozioni.
Guardate indietro, perché possiate essere consapevoli del luogo da cui provenite e della strada che è stata tracciata ma, guardate avanti: perché ciò che siete è la strada che siete riusciti a percorrere.
Noi siamo il traguardo di noi stessi.

Grazie Francesco.

Ci siamo conosciuti in occasione della piantumazione di tre alberelli nei giardini di Torre a Mare (Bari) per ricordare la tragica scomparsa di mia Zia Caterina Susca: da allora, si è creato con me e con la mia famiglia un legame unico e molto profondo. Eri in prima linea ieri e lo sei ancora oggi. Il mondo ha bisogno di giovani esempi… come te.



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