Condividi il bello!

Storia di un'impanicata: perché di panico si vive!

La straordi-storia di
Alessandra Pontecorvo

Mettetevi nei nostri panni
ma non con l’atteggiamento
di chi “se fossi IN te”
ma di chi “se FOSSI te”.

– Alessandra Pontecorvo

Ancora una volta la musica ci ha messo lo zampino.
Ci siamo conosciute grazie agli United Voices Choir, cantavamo insieme in un coro Gospel.
Abbiamo sempre avuto una certa affinità, un po’ perché entrambe “aspiravamo a carismi più alti”, un po’ perché abbiamo condiviso le ricette segrete dei panzerotti la vigilia dell’Immacolata!
La musica e la Puglia creano sempre dei legami particolarmente stretti!

Ma chi sei Alessandra Pontecorvo?
Raccontacelo un po’…

Classe 84, pugliese, anzi salentina, di nascita e romana d’azione.
Laureata in traduzione tecnico scientifica, masterizzata in organizzazione d’eventi, diventata per necessità consulente di comunicazione politica e istituzionale.
Sono una persona che ama iniziare progetti nuovi, una donna con la sindrome di Mary Poppins, mi infilo in situazioni complicate, provo a districarle, le faccio partire e vado via guardando gli altri che raccolgono i frutti, alcune volte per scelta mia altre volte per scelta di altri, ma comunque ogni volta riparto. Sono una giovane in ricerca.

E se dovessi descriverti come in un tweet con 180 caratteri che parlano di te?

Traduttrice per studio, consulente per lavoro, amante della politica per scelta, scrittrice per caso… Una con più sogni che cassetti.

Che citazione sceglieresti per descriverti ulteriormente?

Userei una citazione di Madeleine Wickham che recita più o meno così (vado a memoria):
In quel momento Antony capì che c’erano solo due soluzioni. Avere a che fare con la gente o restare da solo. Sospirò.
Ecco io sono Antony, ma sono soprattutto quel “sospirò”, qualcuno cioè che sa di dover necessariamente scegliere ogni giorno da che parte stare.

Che colore ha per te il buio?

Ti direi abbastanza banalmente il nero.
Il buio è assenza di luce, è difficile distinguere i colori nel buio, è uno dei motivi per cui tendo sempre a lasciare qualche lucina accesa qua e la, fosse anche la spia del televisore, serve a darmi l’orientamento, è un modo per non perdersi.

Che significato ha per te il silenzio?

Per me il silenzio in realtà fa un sacco di rumore.
E più è silenzioso più è assordante.
Non riesco quasi a mai a stare in silenzio, se sono in compagnia lo trovo imbarazzante, se sono da sola devo riempirlo con qualcosa, quasi sempre musica. Il completo silenzio mi crea disagio, nel silenzio penso troppo e percepisco più forti le assenze.
Non è una cosa che amo particolarmente salvo quando invece ho proprio bisogno di malinconia.

Che cos’è la paura?

Questa è una domanda difficile.
Perché la paura non ha un significato univoco e non lo ha neanche per me che la conosco decisamente bene. C’è una canzone di Niccolò Fabi che recita così “Le grandi rivoluzioni fanno molta paura, come molta paura fa fare grandi rivoluzioni”. Ecco, la paura ha due facce: la prima ti paralizza, ti blocca, non ti consente di scegliere, di prendere decisioni o posizioni, la seconda ti muove, ti spinge a scappare o a uscire da un recinto che si fa troppo stretto e pericoloso.
Non è detto che si mostri in una sola delle sue facce, anzi, ci sta che le due realtà siano alternate, e così una volta ti muovi per la paura di restare troppo ferma e la volta dopo di fermi per la paura di non sapere dove andare.
C’è una paura che è più subdola delle altre ed è la paura della paura. Avere paura di sentire la paura ti manda in cortocircuito, è una sensazione che non quadra e ti confonde. È un circolo vizioso che bisogna necessariamente rompere in qualche modo, quale sia il modo questo è un altro paio di maniche.

Riesci a spiegare cosa sono l’ansia e gli attacchi di panico a chi non ne soffre?
C’è una differenza tra i due?

Considerando la mia esperienza e, soprattutto, non considerando una classificazione medica per la quale non ho le competenze, posso fare una distinzione di questo tipo: l’ansia è uno stato d’animo, è una sensazione che si prova in momenti di forte stress o di forte disagio ma che ha un motivo preciso e visibile, una crisi d’ansia è dovuta ad un evento scatenante che tu riesci a riconoscere facilmente, questo non vuol dire che lo si sappia anche controllare. Il panico è invece una condizione dell’anima.

Anche il panico ha degli effetti scatenanti come ogni reazione emotiva, ma spesso non sono di immediata visibilità oppure non provocano un’immediata reazione. Ti attraversano e si poggiano lì, in un angolo della tua anima e sembrano innocui agli occhi degli altri e spesso anche ai tuoi, finché la condizione della tua anima non decide che invece quella cosa lì ti fa paura.
L’ansia le gestisci, con il panico impari a conviverci. È facile confonderli ed è altrettanto facile pensare che chi soffra dei primi soffra necessariamente anche dei secondi. Devo dire, per fortuna e per tranquillizzare un po’ tutti, che questo non è necessariamente vero, almeno in una direzione. Chi soffre di ansia potrebbe non raggiungere mai lo stadio del panico, viceversa è un po’ più difficile ma diciamo che chi ha conosciuto gli attacchi di panico, una crisi d’ansia la gestisce abbastanza facilmente.

Che tipo di impatto hanno avuto nella tua crescita gli attacchi di panico?

Mentirei se dicessi che hanno avuto sempre un impatto positivo. I primi tempi è stato sì difficile ma avevo la convinzione che sarebbe stata una cosa passeggera, con il passare del tempo quando ti accorgi che è una condizione che, in diverse forme, ti accompagnerà per buona parte della tua vita, alterni momenti di grande stanchezza a momenti di grande coraggio. Io non sono una di quelle che è grata al panico, il panico è un infame, perdona il francesismo, non gli sono grata per niente, ma lo affronto ogni giorno, qualche volta vinco e qualche volta perdo ma non smetto di combattere. Ecco forse se dovessi dare una forma all’impatto avuto nella mia crescita gli darei la forma di una battaglia, la forma del coraggio. Il panico mi ha spinto ad andare oltre per affrontare ostacoli abbastanza banali per gli altri e questo approccio all’andare oltre poi me lo sono ritrovata in situazione decisamente difficili anche per chi sta bene. Diciamo che vivo molto con lo spirito di chi sa che può essere attaccato da un momento all’altro e se questo mi ha fatto crescere molto nella mia vita mi ha anche stancato molto ma non credo che il suo impatto sia ancora finito, cambia ogni giorno e con lui cambio anche io.

Chi ti ha capita di più nella vita?

Potrei fare un elenco molto lungo di chi mi ha capita e un elenco ancora più lungo di chi invece proprio non ce l’ha fatta. Ma se devo scegliere una persona ti dico senza ombra di dubbio mia madre. Per un motivo semplice: non ha mai chiesto spiegazioni. Immagino abbia fatto le sue ricerche per spiegarsi meglio la situazione ma io non me ne sono mai accorta. E quando ancora non avevamo idea di cosa stesse succedendo lei ha cercato le soluzioni più adatte ai singoli momenti. È stata una salvezza, l’unico motivo per cui il panico mi ha rallentato ma non mi ha mai fermata.

Spesso le persone hanno voglia di aiutare ma non si sa cosa fare concretamente: c’è paura di sconfinare, di superare il confine, di dire la cosa sbagliata. Che consiglio ti senti di dare a chi è accanto e, in un modo o nell’altro, vive -anche se in maniera diversa -il problema?

Comprate il mio libro che di consigli pratici ce ne sono ben dieci!
No a parte gli scherzi, quello che ripeto spessissimo nel libro è fidatevi. Fidatevi delle nostre soluzioni, che sembrano spesso irrazionali ma che sono efficaci. Ascoltate quello che abbiamo da dirvi senza giudizio e soprattutto siate empatici. Mettetevi nei nostri panni ma non con l’atteggiamento di chi “se fossi IN te” ma di chi “se FOSSI te”. Perché spesso si tende a dare consigli pensando a quello che farebbe bene a noi in una certa situazione ma non si riesce a pensare a quello che farebbe bene a un altro. Ecco, indossate i loro panni, della loro taglia, dei loro colori e solo dopo averli indossati provate a capire.

C’è un momento in cui è fondamentale chiedere aiuto?

Si c’è, ed è quando si tocca il proprio fondo. Esistono però due problemi fondamentali nel capire quando chiedere aiuto: il primo è che la richiesta d’aiuto per sortire effetti positivi deve partire da chi di quell’aiuto necessita. Per anni mi hanno detto vai da uno psicologo, mi hanno consigliato specialisti e soluzioni, con l’unico risultato di farmi arrabbiare di più. Poi a un certo punto ho deciso io. E solo allora la richiesta funziona. Il secondo è che non tutti i fondi sono uguali. Io ho preso coscienza di avere un problema quando avevo toccato il mio fondo ma che per fortuna non aveva ancora avuto conseguenza. C’è chi invece continua a scavare perché rifiuta l’idea di avere un problema ma questo è rischiosissimo perché più in profondità si scende più è complicato risalire. La difficoltà sta proprio nel riconoscere quel fondo.

Che significa per te “lasciar andare…”?

In realtà non lo so. Sono una persona che fa un’immensa fatica a lasciare andare, cose, persone, sensazioni, sentimenti. Faccio un grande lavoro su me stessa per questo e lo faccio spesso e volentieri grazie a “Vince chi molla”, una canzone anche questa di Niccolò Fabi, che è appunto un inno a “lasciar andare”. La ascolto periodicamente, quando sento che qualcosa si sta attaccando a me più del dovuto, mi aiuta a ricordarmi di lasciar andare, o almeno di provare a non trattenere con la forza.

Si può riconvertire un dolore in gioia? Trasformare il pianto in bellezza?

Assolutamente sì.
Ora, non voglio stare qui a dire che i dispiaceri sono un grande dono, i dispiaceri sono dispiaceri e vanno affrontati come tali, metabolizzati, accettati e superati. Però che si possa uscire da un momento buio scoprendo che c’è luce infondo al tunnel questo mi sento di dirlo. Diciamo che si possono cercare dei piccoli lati positivi che magari saltano agli occhi quando guardi il dolore con distacco. Per esempio, io ho riscoperto amicizie importanti nei momenti di crisi nera e comunque mai avrei pensato di pubblicare un libro e invece l’ho fatto in quello che, almeno per ora, è forse stato l’anno più difficile della mia vita.

Attraversare una crisi e crescere: è possibile?

Assolutamente sì, bis!
Un po’ per quello detto prima un po’ perché è un dovere nei confronti del dono della vita non lasciarsi andare alle crisi. Crisi viene dal greco krísis, e vuol dire scelta, decisione. Ogni crisi comporta una soluzione e ogni scelta comporta un cambiamento. Anche non prendere decisioni è una scelta e, in un certo modo, comporta un cambiamento, una crescita, se con crescita si considera anche la radice del termine che è la stessa di creare. Ogni volta che ti trovi di fronte a un bivio, a una scelta, a una crisi appunto, crei un te stesso nuovo, migliore o peggiore questo lo dirà solo il tempo.

Riscoprire sé stessi attraverso un dolore: è possibile?

E di nuovo assolutamente sì!
Anzi ti dirò che forse è più facile riscoprire sé stessi attraverso un dolore che attraverso una gioia. Perché il dolore ci rende più soli e restando più soli tendiamo ad autoanalizzarci di più. Io ho conosciuto molto di me in questi anni da quando il panico è tornato più prepotente, mi sono scoperta in grado di sopportare cose che non credevo di riuscire a sopportare, ho preso coscienza della mia forza e anche e soprattutto della mia debolezza, ho imparato a conoscermi molto meglio, persino a sapere quando coscientemente sto andando incontro a una cosa che mi farà male. E questo succede in maniera più puntuale nel dolore, nella gioia si tende ad essere più leggeri, più superficiali nel senso buono, nel senso di planare dall’alto sulle cose, nel dolore invece si tende a nascondersi e quindi necessariamente si scende più in profondità. Anche di sé stessi.

La tua visione del “per sempre”

C’è un capitolo intero nel mio libro dedicato al “per sempre”.
Il mio per sempre ha certamente l’accezione più comune rappresentata in maniera plastica dal matrimonio dei miei genitori. Però devo ammettere che ho anche una visione meno disneyana del per sempre. Perché per chi soffre di attacchi di panico, sempre non vuol dire necessariamente all’infinito ma vuol dire piuttosto in ogni momento. Tra le tante frasi fatte che circolano online ce n’è una che mi ritorna in mente spessissimo e dice più o meno così “esserci quando è il momento e non quanto hai un momento. È questa la differenza”. Ecco il nostro “per sempre” è più o meno questo. Mi rendo conto che è un po’ pretenzioso ma non costringiamo nessuno a dirci “io ci sarò per sempre”, chiediamo solo che quando lo dicano poi siano in grado di esserci davvero ogni qualvolta noi abbiamo bisogno, che mettano noi al primo posto, non all’infinito, ma in ogni momento in cui è necessario. Sembra banale come differenza ma ti garantisco che è complicatissimo da spiegare.

L’errore più grande che hai commesso, cosa hai imparato e come questo ha ri-orientato la tua vita

Io tendo a non avere rimpianti. Credo sempre che qualunque errore fatto in quel momento preciso della mia vita fosse in realtà la scelta giusta che nelle stesse condizioni rifarei. L’errore è frutto del senno di poi. E con il senno di poi potrei dirtene decine. Ho probabilmente sbagliato a fidarmi troppo di qualcuno, ad investire troppo su alcuni progetti, a non proseguire a livello professionale sulla linea tracciata dai miei studi per infilarmi in uno dei mondi più complicati come quello della politica. Eppure, a me piace la donna che sono quando mi fido delle persone, la passione che ci metto nei progetti che sposo e sono innamorata della politica. Forse sono considerati errori quelle scelte che non ci consentono di essere come dovremmo essere ma, in fondo, ci portano ad essere quello che vogliamo essere. Non lo so forse con scelte diverse non avrei scritto questo libro, non starei rispondendo a questa intervista e non ti avrei conosciuto. Quindi tutto sommato va bene così.

“Troverai anche tu un gancio in mezzo al cielo” – recita una canzone: qual è il tuo gancio in mezzo al cielo? A cosa ti aggrappi e cosa cerchi quando ti senti smarrita?

Alla musica in prima battuta. Cioè mi aggrappo molto anche alle persone ma so di non poter né fidarmi troppo né sfruttarle troppo e allora se devo scegliere qualcosa che “dipende” da me, senza dubbio la risposta è la musica. Italiana soprattutto, perché amo le parole, quelle che parlano di te e a te senza conoscerti neppure. Tutta la mia vita è permeata dalla musica e dalle citazioni musicali, sì credo che senza sarebbe stata molto più dura.

Le parole che non ti ho detto: c’è qualcosa che vorresti dire a qualcuno e che non hai mai avuto il coraggio o semplicemente l’opportunità di dirlo?

Ce ne sono una marea, sia di persone che di parole. Il panico mi ha portato spessissimo a scappare davanti alle discussioni e la mia educazione (e la mia fede) mi hanno portato altrettanto spesso a provare a passare oltre. Se devo fare una scelta forse tornerei indietro di molti anni, racconterei prima a chi mi ha ferito sparendo, e credendo di non fare danni, che la paura è una cosa seria, che se cercavo spiegazioni non era per una specie di fissazione, che ho sempre donato tutta me stessa alle persone a cui volevo bene e che, a furia di sparire, si sono portati via pezzi di me. Direi al mio primo amore che io un amore così non l’ho più provato e che mi dispiace di non essere stata capace di raccontargli quello che mi succedeva.

Qual è il sogno che vuoi trasformare in progetto?

Come dice la mia bio di twitter “sono una con più sogni che cassetti”, e se da un lato avere tanti sogni ti aiuta a vivere dall’altro ti porta spesso a non concentrarti su uno solo. Se dovessi sceglierne uno che racchiude un po’ tutti forse partirei da questo libro e ti dico che un sogno che mi piacerebbe trasformare in progetto è quello di influenzare. Non di fare l’influencer nel senso moderno del termine, ma di essere esempio, di portare un messaggio positivo ai più giovani, di aiutare, di, forse un po’ pretenziosamente, lasciare un segno, non per vanagloria ma per dare continuità. Mi piacerebbe partire da questo libro e andare nelle scuole, essere parte di una piccola rivoluzione culturale.

Una frase made by Alessandra Pontecorvo per lasciare un messaggio a chi ti legge, liberamente…

Non so se sia una citazione famosa o no, sicuramente l’ha detta anche qualcun altro ma se devo riassumere il mio pensiero direi che ho sicuramente fatto mia la frase “Con amore, o niente”.

Non è stato facile Ale, lo so.
Aprirsi, raccontarsi e mettersi a nudo così profondamente…
Quando dici “vorrei essere esempio, portare un messaggio positivo, aiutare…” hai da sola trovato la risposta al motivo per il quale ti ho chiesto di raccontarci di questa parte di te che sicuramente, è parte di ognuno di noi.
Grazie. Davvero.


Condividi il bello!