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Un amore come tanti:
il viaggio di Veronica

La straordi-storia di Vittorio Piccinini

Mai scoraggiarsi!
Abbiamo tutti, dentro di noi,
la forza e la capacità
di creare un percorso vincente.

– Vittorio Piccinini

Ci siamo conosciuti in ambito professionale; da sempre Vittorio collabora con ELIS e ad oggi è uno dei 100 esperti dell’umano digitale (#HumanDigitalMaster)… ma questa è un’altra storia.
Ci siamo frequentati in alcune occasioni di Community e abbiamo condiviso i concerti da casa in tempo di lockdown. In ogni incontro un’occasione di confronto, di scambio e di arricchimento, fino ad arrivare alla decisione di raccontare di questo ‘viaggio straordinario’.
Ma prima di andare a fondo, lascio che sia Vittorio a presentarsi ai nostri nostri lettori.

Chi sei, Vittorio?

Ho 51 anni, sono originario di Ravenna, ma da 37 anni vivo a Roma, quindi mi posso considerare Capitolino acquisito, anche se la genetica rimane quella “piadina e liscio” della mia terra. Sono sposato con due bimbi, uno a km zero, l’altra, l’esotica, proveniente dal grande freddo nord, poi ne parleremo. Sono ingegnere elettronico (sempre stato un secchione, a scuola), dopo un anno come ufficiale di Marina, mi sono dato all’informatica. Mi piace fare sport, tra cui calcetto e vela (ho fatto 10 anni in serie C a pallavolo, ma non sono parente della più famosa mia omonima), viaggiare e fotografare (sono autore dei book e dei video matrimoniali non ufficiali di tutti i miei amici…), quando possibile, mi dedico anche al volontariato e alla cucina.

Se dovessi presentarti con un tweet?

Solare, estroverso, creativo, emotivo, amo l’innovazione, specie se associata alle emozioni. Mi piace guardare al mondo con gli occhi dell’arcobaleno. Se perdo, rosico, ma passa.

Accogliere qualcosa di estraneo da te e farla diventare “parte di te”: come è possibile?

Accogliere la diversità e farla diventare parte di te, non è né scontato, né semplice e richiede un cammino, cammino che, da un lato sarei presuntuoso se dicessi che è completo, dall’altro sono convinto sia indispensabile per tutti noi, per crescere come uomini e come professionisti. La diversità è alla base della nostra storia e ci pone davanti a sfide, che rendono la vita degna di essere vissuta. Poi, ognuno di noi può essere predisposto o pronto ad accogliere la diversità in modi diversi e profondità diverse. Nel mio caso, forse, la cosa è sempre stata lì. Quando mia moglie mi ha proposto di provare ad adottare un bambino, le ho detto di sì subito, senza pensare alle implicazioni organizzative, sanitarie, burocratiche psicologiche (poi quelle sarebbero arrivate tutte dopo): ho solo sentito che era la cosa giusta da fare, per me stesso, la mia famiglia e, soprattutto, per quel bimbo/bimba che ci stava aspettando.

“Avete già un figlio: perché volete intraprendere il percorso dell’adozione?” A cosa ti fa pensare questa frase?

Molto spesso si pensa all’adozione come ad un modo per supplire la mancanza di genitorialità, e questo si riflette nel pensiero comune di “soddisfare un bisogno”. Probabilmente, anche nel nostro caso, la spinta iniziale è venuta da qui, quindi sarebbe da ipocriti dire il contrario, quello che invece è fondamentale sottolineare è che da subito viene chiesto di mettersi al servizio di uno o più minori, che vengono da situazioni che spesso non riusciremmo nemmeno a concepire e che hanno bisogno della nostra forza, della nostra volontà, del nostro amore e, diciamocela tutta, della nostra voglia di metterci in gioco (o incoscienza, decidi tu quale funziona meglio). Non tutti, attorno a te, capiscono e condividono, spesso, talvolta proprio chi è vicino a te, dimostra la maggiore difficoltà a capire (o la maggiore preoccupazione) questo viaggio nello spazio della tua anima e nel tempo delle tue capacità. In ogni caso, la domanda “Avete già un figlio…” è stata la prima che tutti gli operatori del settore ci hanno fatto…

E allora, quale è stata la difficoltà maggiore durante il percorso adottivo e nella tua vita di famiglia adottiva?

Diciamo che di difficoltà ce ne sono state tantissime, ma è stato importante fare forza sulle mie capacità personali, professionali (il mio lavoro mi ha insegnato tantissimo), creatività, empatia (spesso ho provato a mettermi nella persona davanti a me, che si trovava un invasato che chiedeva cosa inconcepibili, ad esempio documenti che in Italia nemmeno esistono). Quello che mi è riuscito meglio, è stato risolvere i problemi pratici e burocratici, quello che mi è riuscito meno bene, è stato accettare che altre persone, vicine a me, vedessero questo percorso con occhi diversi. In ogni caso, ho imparato tantissime lezioni, che mi porto con me ogni giorno. Importante, mai scoraggiarsi, abbiamo tutti, dentro di noi, la forza e la capacità di creare un percorso vincente.

L’attesa, la paura, la consapevolezza, la gioia: sono queste le fasi di un percorso di adozione come quello che hai vissuto tu?

Le fasi di un percorso di adozione sono proprio quelle che tu hai descritto, anche se il nostro percorso è stato anomalo. Appena iniziato un primo percorso di adozione, che ci avrebbe portato in Russia, al confine con la Cina, è arrivato Gabriele e quindi abbiamo dovuto fermarci, anche se, ormai, “il danno era fatto”, ovvero avevamo intrapreso quel cammino personale, spirituale, psicologico, che ci aveva fatto affrontare la montagna dell’accettazione dell’ignoto, mettendoci in gioco, fino in fondo.

Quando poi, il desiderio di avere un altro figlio non è stato assecondato dagli eventi, l’abbiamo vissuto come una specie di “chiamata a riprendere il cammino”, per cui parlerei di un secondo cammino molto più consapevole di cosa effettivamente significava “accogliere qualcuno che non hai visto nascere”.

Ovviamente il cammino ci ha riservato molte prove: la difficoltà di produrre i documenti necessari, per alcuni, abbiamo proprio creato noi, ma soprattutto l’impatto con la realtà di un minore che “non era come alla fine, nel tuo subconscio, sognavi che fosse: facile da accogliere”. Abbiamo quindi affrontato la paura, quando ci hanno letto la storia di Veronica, ma, anche aiutati dalle parole di persone di cui potevamo fidarci, alla fine abbiamo preso consapevolezza sempre più del percorso e delle sfide che avremmo affrontato.

Anche il primo viaggio in Russia ci ha aiutato ad acquisire consapevolezza e maturità della sfida che stavamo per intraprendere. L’attesa l’abbiamo vissuta nell’estate del 2015, quando dopo il primo viaggio, tutto sembrava sospeso in attesa degli eventi dell’autunno. Consapevolezza è anche affrontare un tribunale civile russo con serenità e preparazione, anche qui, l’esperienza professionale è stata fondamentale, oltre ad un pizzico di italianità, che credo abbia fatto simpatia. La consapevolezza diventa gioia, quando alla fine del percorso, il tuo sogno /progetto si realizza; l’ultimo viaggio, con Gabriele, è stato quello dell’unione con la piccola Vero, della festa e… dell’inizio della nuova vita, quindi una specie di euforia, che si è trasformata in gioia, quando abbiamo potuto condividere tutto questo con gli altri ma sempre, con la consapevolezza che stavamo comunque per affrontare un cammino in salita. Non eravamo spaventati, né lo siamo ora.

Pensa alla tua bambina. Immagina di doverle raccontare con un’immagine chi eri prima del suo arrivo, chi sei oggi e cosa ti aspetti di vivere insieme a lei domani.

L’immagine prima e dopo di lei si vede nei miei capelli, che da castani sono diventati grigi! Scherzo!
Prima del suo arrivo, mi sentivo incompleto come uomo e come capo famiglia, dopotutto, ci sarebbero piaciuti due o più figli, ma eravamo a posto anche così. Quando mi hanno mostrato la sua foto per la prima volta, mi sono emozionato (come sempre accade in questi frangenti) e ho pensato a come sarebbe stato bello portarla a casa con noi e cominciare un lungo cammino, sempre però mirato a renderla felice e ad assecondare le sue propensioni (ad oggi, siamo indecisi tra veterinaria e l’acquisto di una fattoria :-D). Dovendo utilizzare un’immagine, userei quella di un cuore che con il suo arrivo finisce di colorarsi.

Da quando la bambina è arrivata a casa tua, hai cambiato qualcosa nel tuo approccio al mondo? Hai convertito in responsabilità sociale alcune intenzioni? O se non l’hai ancora fatto, intendi in qualche modo farlo?

Inizialmente, la realizzazione di questo percorso è stata fonte di gioia, euforia, consapevolezza di aver realizzato qualcosa di importante, da condividere, come energia, percorso, contenuti. La mia responsabilità sociale è stata quella di fare in modo che chiunque volesse anche solo pensare all’adozione di un minore, poteva trovare in noi dei mentori, per capire, prendere coraggio ed affrontare le varie prove. Abbiamo consigliato ed aiutato diverse coppie ed un paio di loro le abbiamo anche accolte all’aeroporto con i nuovi arrivati! Abbiamo preparato dei documentari divulgativi sulla nostra storia, inserendo anche le immagini del primo incontro, della prima volta dei due fratelli assieme, dell’arrivo in Italia, video che condividiamo volentieri, poiché è il modo migliore per trasmettere emozioni, paure, consapevolezze. Abbiamo anche partecipato ad alcune campagne pubblicitarie del CIFA (l’Ente autorizzato dal Consiglio dei Ministri, con cui abbiamo adottato Veronica).
Mi rimane nella mente il senso di impotenza quando, in Istituto, ho incrociato lo sguardo (azzurro come il ghiaccio dell’artico) di una bambina che sembrava volermi dire: “vuoi essere il mio papà?”, senso di impotenza che mi stimola a rimanere umile nel mio percorso e ad aiutare gli altri affinché quella bambina e tutti i bimbi che ho incontrato abbiano la possibilità di avere un papà.

Quale regola ti sei dato dal momento in cui Veronica ti è stata affidata?

La prima regola è stata quella di dirle, con i dovuti tempi e modi, la verità sul suo passato. Veronica oggi sa di venire dalla Russia, da Arkhangelsk, ha già fatto molte domande scomode, a cui bisogna rispondere, senza mentire, ma anche senza generare traumi, vede spesso con il fratello il video documentario della sua adozione e lo abbiamo proiettato nelle loro classi, nelle giornate in cui si celebra la diversità e il rispetto dei diritti dei bambini. La seconda regola è stata quella di valorizzare le sue potenzialità e propensioni, aiutandola a superare i suoi limiti. La terza, di provare ad entrare nei suoi ritmi e nel suo mindset, difficilissimo, ma necessario.

C’è qualcuno a cui ti ispiri e che credi possa essere di supporto nel compito educativo che ti è stato affidato? Prima dell’arrivo di Veronica, chi ti è stato accanto trovando “le parole giuste al momento giusto?”

La mia ispirazione è da sempre mia zia Roberta, purtroppo scomparsa nel 2012, ma sempre vicina con il suo spirito ed esempio. Dottoressa, madre di famiglia, indiscussa leader della famiglia estesa, con giudizi pacati e modi garbati, ha sempre guidato la famiglia, dando guida e supporto, senza mai scendere nel buonismo. Un esempio di leadership fortissima, riconosciuta anche dai suoi colleghi e dal suo ecosistema. Esempio anche come spirito di sacrificio, nel curare il marito malato. Indubbiamente un grande supporto anche nel percorso educativo.

Dal vivo, abbiamo tante persone che ci aiutano nell’educazione e nella crescita della piccola (e del piccolo). Mi piace ricordare Martina, la nostra tutor e baby-sitter, nonché catechista di mio figlio, praticamente un’altra di casa e i loro allenatori sportivi, che assieme alle maestre, sono la spina dorsale della loro costruzione come uomini, cittadini ed atleti.

Le parole sono spesso fondamentali, nel bene e nel male. Poche, ben pesate, al momento giusto, possono cambiare il mondo, nel bene e purtroppo nel male. Nel nostro caso, non ci sono citazioni celebri, ma riporto, come caso negativo, un giudizio del tipo “avete fatto il passo più lungo della gamba” e come caso positivo, un commento della mia amica psicologa Valeria Palano che, presentandoci il caso di Veronica, con un sorriso ci disse “ve lo proponiamo, poiché voi ce la potete fare”, il che detto da una persona sempre molto pacata e misurata, in un momento in cui forse serviva solo un’iniezione di fiducia, ha avuto effetto dirompente. Due modi completamenti diversi di vedere la stessa cosa, comunicati in momenti particolari, fanno più effetto di urlo in faccia o di un concerto di Vasco.

Quale vorresti che fosse il valore distintivo e imprescindibile dei tuoi figli adulti?

Amore per la vita, attenzione verso gli altri, onestà, correttezza, trasparenza, dedizione e rispetto degli impegni presi. Nel nostro mondo, dobbiamo ricordarci sempre che, prima di reclamare i nostri diritti, come persone, familiari e cittadini, dobbiamo sempre ottemperare ai nostri doveri, con passione e dedizione.

Il resto viene di conseguenza, pensando sempre però che nulla è scontato ed immutabile e che quotidianamente dobbiamo meritarci e guadagnarci ciò che la vita ci dona. Come dice mio padre, la vita è una grande avventura, ma in fondo, “la vita è bella” (se la affronti nel modo giusto)

Che significa “essere una famiglia normale”?

Premesso che ogni famiglia è unica e speciale nella sua “quotidiana normalità”, tutte le famiglie “normali” sono squadre vincenti che costruiscono il futuro, condividendo valori, percorsi, sacrifici, gioie; squadre dove le parole chiave sono armonia, uguaglianza e dove il passato non è un vincolo, ma una risorsa che porta anch’essa valore. Mi sono accorto che la nostra famiglia è diventata “normale”, quando i due bimbi si sono scoperti fratello e sorella, vivendo dinamiche identiche o comunque molto simili a quelle dei fratelli consanguinei. Per me, è diventata normale, quando ho vissuto come “cosa normale” il fatto che la vita di Veronica, prima del nostro incontro, fosse raccontata attraverso tre fotografie e un fascicolo scritto in cirillico e che in fondo, alla fine, nella mia testa, è come se 5 anni fa ci fosse nata una figlia di due anni.

Chi sono per te gli eroi?

Sono coloro che mettono gli altri davanti a sé stessi e/o coloro che, senza chiederti nulla in cambio rendono la tua vita migliore, andando oltre i propri limiti e arrivando là dove altri non possono o non vogliono arrivare. Inizialmente, avevo la stolta presunzione che, nella storia di Veronica, gli eroi fossimo sua madre ed io. In realtà, settimana dopo settimana, ho scoperto che i veri eroi erano tutti coloro che con il loro amore ci hanno dato la forza e la motivazione per realizzare questo sogno.

Questa intervista probabilmente sarà letta da coloro che stanno intraprendendo il percorso dell’adozione o che lo stanno vivendo. Cosa ti senti di voler condividere della tua esperienza?

Mi sento di condividere il fatto che anche solo a pensarci, il percorso adottivo può far tremare i polsi, figuriamoci intraprenderlo. Però, ne vale la pena, infinitamente, per l’amore che si dona e si riceve. E non bisogna avere paura di non farcela, dentro di noi ci sono energie e risorse che nemmeno immaginiamo, quando la sfida che intraprendiamo è importante. Poi ci sono un sacco di famiglie, pronte a testimoniare il loro cammino, non si è assolutamente soli in questo percorso. Mi è capitato diverse volte di parlare a famiglie adottive, che si stavano preparando ai primi, passi, e, ho sempre iniziato dicendo “Se siete qui, siete già fighissimi, quindi tutto è a posto”.

Se dovessi condividere una frase che ti rappresenta per salutare i nostri lettori, quale sceglieresti?

Quella di Kurt Russel in “Grosso guaio a Chinatown” (ripreso in “Kung Fu Panda” e “Ocean Thirteenth”)

Sei pronto? Sono nato pronto!

Ho scelto questa frase perchè credo che la vita in ogni momento ti riserva sorprese, accelerazioni, sfide e bisogna sempre essere pronti a tutto. Nel caso dell’adozione di Veronica, ci avevano dato un tempo di attesa di almeno 18 mesi, ma dopo appena tre mesi, eccoci! Nell’adozione nazionale, è ancora più vero (un giorno potresti ricevere una telefonata, quando meno te lo aspetti ed il giorno dopo essere genitore…).

Grazie Vittorio!
Nel nostro incontro di preparazione a questa intervista ci siamo lasciati dicendoci che questa esperienza di vita doveva essere messa a disposizione degli altri perchè è un modo per restituire alla comunità il bene che è stato ricevuto. A nome della comunità tutta io ti rendo grazie per avermi fatta ‘entrare nella tua casa’ e nelle vostre vite. Lascia che ti dica che per me – nonostante la tua visione – tu, Daniela, Gabriele e Veronica siete degli eroi che nella semplicità e nella generosità fate della vostra vita un dono. Per me, per noi, per tutti.


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