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Frammenti Preziosi

La straordi-storia di Marina Azzolini

“Anche noi, esseri umani, 
possiamo andare in mille pezzi…
ma possiamo rimettere insieme
tutte le tessere
del nostro puzzle personale
con pazienza e amore
e tornare a splendere
più belli e forti di prima…”

– Marina Azzolini

Ci siamo conosciute grazie ad un algoritmo.

 “Qualcuno” ha stabilito che era giusto che facessimo un percorso insieme.

Questo “qualcuno” può avere il volto di Young Women Network – associazione presente in Italia dedicata esclusivamente alle giovani donne professioniste che consente di intraprendere un percorso di mentoring tutto al femminile – oppure questo “qualcuno” è davvero più grande di noi e ci fa dei regali splendidi, come lo è stata la nostra conoscenza.

Quando mi è stato chiesto di essere la Mentor di Marina nel programma #InspiringMentor2018 di Young Women Network, ho accettato questa nomina con grande responsabilità.

Quello che un programma di mentorship “ti lascia dentro”, posso sintetizzarlo con una parola: legame. Perché quando riesci ad aprirti, a confrontarti senza vincoli, a raccontare i tuoi sogni, progetti, difficoltà e aspirazioni, quando fai dell’ascolto dell’altro il fil rouge dell’esperienza, ti rendi conto di quanto le Persone possano davvero essere un dono.

Marina ha fatto tutto questo. Marina è stata un dono per me. L’ho capito durante il primo nostro incontro individuale: da allora è passato più di un anno.

In quello stesso istante ho capito che la sua era davvero una straordi-storia, quelle storie che [rac]contano. Difficilissima da condividere ed anche per questo… immensamente speciale.

Marina, grazie.

Posso solo iniziare il racconto della tua straordi-storia così. 

Raccontaci chi sei…

Ho da poco passato i trenta, ho una laurea in finanza e nella vita mi occupo di sviluppo di business in una startup innovativa. Vivo a Roma in un appartamento che guarda il Gazometro, tanto piccolo quanto pieno di luce, di gatti e di libri. Come tutti quelli nati sotto il segno dei Gemelli so essere tutto ed contrario di tutto. Non ho paura di essere anticonformista, amo le sfide, la competizione ed il mettermi alla prova, sempre ed in ogni ambito. Apprezzo in particolar modo lo humor inglese e sono una fan sfegata del trio Clarkson-Hammond-May. Due anni fa, poco prima di Natale, ho perso i miei genitori. Da allora la mia vita è cambiata ed io con lei.

C’è un’immagine che, aldilà delle parole, può rappresentarti e descriverti?

metafora marina

Eccola. La metafora che porto con me è quella del kintsugi, ovvero l’arte giapponese di riparare oggetti rotti con metalli pregiati come l’oro e l’argento. Viviamo in un mondo in cui ci viene insegnato che le cicatrici sono qualcosa di brutto, un mondo in cui si preferisce buttare e ricomprare, piuttosto che aggiustare ciò che si è ammaccato o è andato in mille pezzi e questo atteggiamento non lo applichiamo solo agli oggetti ma anche alle persone. Anche noi, esseri umani, possiamo andare in mille pezzi… ma possiamo rimettere insieme tutte le tessere del nostro puzzle personale con pazienza e amore e tornare a splendere più belli e forti di prima.

Ci hai aperto il tuo cuore sin dal primo momento, parlandoci della perdita dei tuoi genitori. Prima di molti altri, essi rappresentano dei modelli di vita: cosa hai imparato da loro? 

Non mitizzo i miei genitori solo perché non sono più qui, come tutti anche loro hanno commesso degli sbagli, con loro stessi ed anche con me, ma ci sono alcuni valori che mi hanno trasmesso e che reputo fondamentali nella mia vita. 
Onestà. Verso gli altri e verso se stessi. 
Etica. Sul lavoro e nelle proprie scelte di vita. 
Responsabilità. Non si scappa davanti agli ostacoli o alle prove della vita ma le si affronta. 
Erano persone serie e rispettose, che hanno sempre cercato di fare la cosa giusta. Erano persone per bene, nel senso positivo del termine, e spero di esserlo anche io, almeno un po’. 

La perdita dei nostri riferimenti, crea una spaccatura che è impossibile rimarginare: come fai a canalizzare il dolore e a farlo convivere con la vita? Una persona in lutto, può distrarsi dal dolore? Come si può dare un senso alla perdita? 

Non so se distrarsi è il termine giusto però sono certa che ci sono delle attività che possono essere utili a chi ha appena subito una perdita, per riprendere contatto con ciò che è fuori dal proprio cuore stropicciato.

Nei primissimi tempi, quando ho perso i miei genitori, l’unica cosa che volevo fare era andare nella loro casa, ormai vuota, a mettere in ordine le loro cose. Era un modo per sentirli vicini, mi faceva stare malissimo e bene nello stesso tempo. Ho trascorso ore intere li dentro, ogni week end per quasi un anno finché tutto era stato messo a posto, ogni cosa aveva la sua collocazione ed io ho finalmente ricominciato a riprovare piacere per le piccole cose. All’inizio è stato un pranzo al mare, poi una giornata alle terme, una passeggiata a cavallo ed infine un viaggio, un weekend sulla neve e così via. Nel mio caso, le “distrazioni” sono arrivate quando ero pronta ad accoglierle. Bisogna fare quello che ci si sente di fare ed è necessario che chi è vicino ad una persona che è in lutto capisca che ci sono dei tempi che vanno rispettati, non solo per piangere ma anche per ricominciare a gioire.

“Passerà”, “Il tempo aiuta”, “Non ci pensare”, “Vai avanti”: che ne pensi di queste frasi?

Non passa mai del tutto, punto.
Puoi stare meglio nel corso degli anni ed è sano ed auspicabile che sia così, ma quella sensazione di vuoto semplicemente non ti abbandona mai. 
Ci sarà sempre un momento in cui vorresti parlare con la persona che hai perso, passare del tempo con lei, semplicemente scriverle un messaggio su whatsapp… 

Il mondo esterno non ti permette di star male a lungo: devi ricomporti, far finta di niente (o meglio “convivere” con il dolore “dentro”) e andare avanti. Eppure continui a sentire la canzone preferita di tua madre alla radio, o rivedi quel film che piaceva a tuo padre… basta un odore, un suono, una sensazione per riaprire una ferita. Una ferita che non si rimargina mai del tutto.

Cosa può fare secondo te di concreto una persona che non sa come aiutare chi è nel pieno della sua fase di elaborazione del lutto?
Semplicemente esserci. Esserci quando chi sta vivendo il lutto vuole stare sul letto a guardare il soffitto o quando si riempie la vita di cose da fare… Spesso chi è in lutto è combattuto da sentimenti contrastanti, vuole soffrire da solo e cerca di cacciare chi ha vicino ma contemporaneamente ha bisogno di qualcuno al proprio fianco per poter affrontare la tempesta. C’è bisogno di tanta pazienza, tenacia, intelligenza e soprattutto amore incondizionato per essere vicino a chi sta vivendo un lutto.

“Troverai anche tu un gancio in mezzo al cielo” – recita una canzone: qual è stato il tuo gancio, a cosa ti sei aggrappata e cosa cerchi quando ti senti smarrita?

Nei primi mesi successivi al mio lutto la prima reazione è stata quella di aggrapparmi a ciò che mi facesse sentire normale. In primis il mio lavoro. Forse è stata una fuga, la mia, ma ho lavorato come mai in vita mia e più lavoravo e meglio mi sentivo. Il lavoro mi ha fatto sentire come tutti gli altri: a lavoro non ero “quella orfana”, ero solo Marina. 
Aggrapparsi a qualcosa è fondamentale per riuscire a stare a galla, può essere il lavoro, la propria famiglia, i propri figli, un impegno nel volontariato; non importa cos’è davvero quell’appiglio a cui ti aggrappi ma è fondamentale trovare il proprio per non finire a fondo.

Anche se la vita ci rende immobili di fronte a certe tragedie, come si fa a continuare il cammino e ad aver voglia di progettualità?

Nel primo anno e mezzo, dopo la mia perdita, la mia vita ha proceduto col pilota automatico. Tutto è rimasto congelato ed io ho solo cercato di andare avanti come meglio potevo. E’ stato come vivere un film in bianco e nero. Poi, come per magia, ho ricominciato a vedere alcuni colori. Ho ricominciato ad avere voglia di festeggiare un compleanno, di passare un fine settimana in montagna, di andare a cena con degli amici… ho ricominciato ad immaginarmi un futuro.

Non so davvero cosa sia scattato nella mia mente che mi ha aiutato a risalire dal buco in cui ero caduta. Forse si tratta di spirito di sopravvivenza o forse il pensiero che nessun genitore vorrebbe che il proprio figlio viva una non-vita. È successo, tutto qui. 

Che donna sei oggi? Cosa hai portato della Marina di ieri nella Marina di oggi? 

Non credo nel politicamente corretto e non penso che il dolore ci renda migliori. Anzi. 
Quando resti orfana, senza fratelli, in una città dove non hai solidi legami familiari, come è successo a me, fai i conti con sentimenti che la società preferisce nascondere sotto al tappeto: depressione, senso di solitudine, isolamento, rabbia, invidia, frustrazione, cinismo…
Sono venuta in contatto con il peggio di me, ma ho imparato a conoscerlo e a vivere tutto il dolore che sentivo. Nella mia nuova vita ho portato una maggiore consapevolezza dei miei sentimenti ma anche delle mie capacità come essere umano. 
Sono sopravvissuta a tutto, ho affrontato da sola non solo il dolore, ma anche problemi logistici, di soldi, la successione e molto altro…Non me lo ero mai detto né avevo osato pensarlo ma per la prima volta ho capito che valgo davvero qualcosa.

C’è una frase “made by Marina” che utilizzeresti per lasciare un messaggio a chi ti legge e che ci aiuti ancor meglio a capire chi sei?

“Faber quisque fortunae sue” era una frase che mi ripeteva sempre mia mamma e che ho fatto mia. Ognuno è artefice del proprio destino ed anche della sua felicità, direi io.

Ho aperto con un “grazie” e concludo nello stesso identico modo: grazie Marina per avermi dato modo di accogliere la tua straordi-storia.
Sono fiera di te e sono sicura che il tuo percorso di “donna in rinascita” sia bello perché lo stai costruendo giorno dopo giorno, con i tuoi tempi, senza alcuna fretta.
Il merito è anche di coloro che ti hanno insegnato i valori dell’onestà, etica e responsabilità e che oggi, fanno di te una Donna.
Con la D maiuscola.


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